sabato 17 ottobre 2015

2.8. Andare più lontano nel movimento della decodificazione e della deterritorializzazione - Parte XVI - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski»

Andare più lontano nel movimento della decodificazione e della deterritorializzazione


2.8. - Parte XVI -
Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OC Free Press, 2016)
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Una locuzione sulla quale soffermarsi è «andare ancora più lontano». L’«andare in senso contrario» rispetto al nazionalismo di sinistra proposto da Samir Amin equivale per Deleuze e Guattari all’«andare ancora più lontano» nel movimento del mercato, della decodificazione e della deterritorializzazione. «IL» movimento della decodificazione e della deterritorializzazione si può identificare con il movimento del mercato, ma non appartiene unicamente al mercato. E’ un suo tratto distintivo, ma allo stesso tempo è distintivo e immanente sia al movimento nietzscheano che al movimento della circoscritta comunità rivoluzionaria in cui si riconoscono Deleuze e Guattari. Non necessariamente tre realtà sovrapponibili, sebbene gli autori pongano adiacenti i percorsi della produzione sociale e della produzione desiderante, almeno all’inizio del processo: “La schizofrenia è la produzione desiderante come limite della produzione sociale. La produzione desiderante, e la sua differenza di regime con la produzione sociale, vengono dunque alla fine, non all’inizio” (AE, 38). Chiariamo il punto: in merito ai tre approcci rivolti al rovesciamento di codici e territori prima richiamati, vi sono solo due movimenti che potrebbero essere alleati, nietzscheani e rivoluzionari rizomatici. All’opposto, il movimento del mercato è illogico rispetto alle altre due posizioni politico-filosofiche, dato il suo ricorrere all’assiomatica di recupero per estrarre surplus dai flussi e all’assiomatica dell’annichilamento di tutto ciò che è inscambiabile e destrutturante. Si tratta dunque di trovare un punto minimo di contatto tra Nietzsche e l’energheia esercitata dalle forze rivoluzionarie post-68. In questo contesto di intensità vissute, l’espressione «andare più lontano» può significare anche altro da «prolungare» e «continuare il lavoro» del capitale, irrobustendone la sua prestanza mercantile, come può apparire a una prima lettura più lineare ed «economizzante» del passo accelerazionista; il significato più corretto, e più profondo, di «andare più lontano» è portare alle estreme conseguenze rovesciando il significato iniziale. Troviamo la locuzione «andare più lontano» con questo stesso significato in un denso passaggio di Nietzsche, tratto dall’Anticristo, scelto come testo in appendice [ Dio e il nichilismo ] da Deleuze nel suo Nietzsche del 1965: “Si è osato chiamare la compassione virtù (- in ogni morale aristocratica essa è considerata una debolezza -); si è andati ancor più lontano, si è fatto di essa la virtù, e il terreno e l’origine di tutte le virtù - ma soltanto, si deve sempre tenere presente questo fatto, dal punto di vista di una filosofia che era nichilista, che portava scritta sulla sua insegna la negazione della vita. Schopenauer era nel suo diritto quando diceva che con la compassione viene negata la vita, viene resa più degna di negazione - la compassione è la praxis del nichilismo” (AC, 172-73; N, 89).

Dato che la locuzione «andare [ancora] più lontano» appare due volte nel passaggio accelerazionista della Macchina capitalistica civilizzata, proviamo ad inserire il significato esattamente come Nietzsche lo utilizza. Vediamo che calza a pennello: se si è fatta dell’azione di sradicamento nomadico - la deterritorializzazione - e di distruzione  anomica - la decodificazione - il perno del proprio agire da parte dei rivoluzionari - il terreno e l’origine di tutte le virtù, cioè la virtù per eccellenza - allora il «processo» da accelerare sarà oggettivamente all’opposto di quello del mercato. Infatti, nel pensiero nietzscheano, il movimento del mercato è un moto che implica la «praxis del nichilismo», cioè un doppio movimento negativo, il «no» alla vita, direbbe Nietzsche. Il primo movimento: la gestione planetaria che persegue il mercato, nei fatti, reprime ogni pulsione e distrugge ogni differenza, ogni ecosistema, ogni circuito auto-organizzato, con l’unico scopo di far fluire senza fine le merci per creare e distribuire ricchezza attraverso la remunerare del capitale. Il secondo movimento, immanente al primo, produce processi di livellamento e selezioni di conformità quale condizione necessaria per il mantenimento dell’umanità a questo livello di artificialità, a cui corrisponde però l’incessante trasformazione della società. Questi sono gli stessi processi descritti nel frammento accelerazionista di Nietzsche I forti dell’avvenire e che costituiscono il fondamento del passo accelerazionista dell’Anti-Edipo. Non ci si dovrà, allora, ritirare dal processo di decodificazione e di deterritorializzazione ma si dovrà accelerare il processo di liberazione e di differenziazione - doppio movimento positivo che significa sì alla vita per Nietzsche, e per usare la terminologia di Deleuze e Guattari, accelerare il processo di produzione desiderante - il flusso di «schizofrenia e attività rivoluzionaria» - da parte delle singolarità nomadi: “Liberare i flussi, spingersi sempre più lontano nell’artificio: lo schizo è un fuori codice, un deterritorializzato” (PP, 36) affermano Deleuze e Guattari. Questo è tanto più vero se valutiamo questo processo dal punto di vista di «una teoria e di una pratica dei flussi ad alto tenore schizofrenico». Dicono infatti Deleuze e Guattari: “Noi distinguiamo la schizofrenia come processo e la produzione dello schizo come entità clinica da ospedalizzare: le due cose stanno piuttosto in ragione inversa. Lo schizo da ospedale è una persona che ha tentato qualcosa e ha fallito, è crollato. Non diciamo che il rivoluzionario è schizo. Diciamo che c’è un processo schizo, di decodificazione e di deterritorializzazione, e che solo l’attività rivoluzionaria impedisce di volgere in produzione di schizofrenia” (PP, 36). Finora, dicono i due filosofi, si è fatto poco: c’è tutto un lavoro di scrostamento e di raschiatura da effettuare. Le cesure, i break sono ancora limitati, ci sono ancora paranoie, segregazioni, conformità, diluizioni, annebbiamenti, a trattenere, frenare le cariche rivoluzionarie inattese. Non è la teoria dei flussi che, come un sismografo, deve rilevare lo sprigionarsi dei «flussi che sovvertono la società»? Che cos’è infatti la schizoanalisi, se non “un’analisi militante, libidinal-economica, libidinal-politica”? (PP, 30). Se l’inconscio produce desiderio attraverso un «processo schizofrenico», quale fine possiamo attribuire alla schizoanalisi? Deleuze ne offre una splendida definizione: “La schizoanalisi non ha che un fine: che la macchina rivoluzionaria, la macchina artistica, la macchina analitica divengano pezzi e ingranaggi gli uni degli altri. Se si considera il delirio, ancora una volta ci sembra che esso abbia due poli, un polo paranoico fascista e un polo schizo-rivoluzionario. Non smette di oscillare tra questi due poli. Proprio questo ci interessa: la schizo-rivoluzione in opposizione al significante dispotico” (PP, 36-37). Rimane ora da valutare se i nerboruti del futuro, questa genia di bohémien parassiti e anticapitalisti paventati da Nietzsche nel frammento accelerazionista incastonato in questo passaggio dell’Anti-Edipo, possano corrispondere in qualche misura alle macchine desideranti anedipiche e alle singolarità nomadi afasciste progettate da Deleuze e Guattari. Manca ancora, infatti, il senso più profondo dell’ingaggio nietzscheano.
Picblog: ancora immagini del 4 marzo 1972: la prima dal funerale di Pierre Overney, in avenue de la République (Parigi), la seconda ai cancelli della fabbrica della Renault, dove Overney fu ucciso: si notano Foucault con il megafono e, a fianco, Jean-Paul Sartre.

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